Bambini e VR: uno studio rivela una tolleranza superiore agli adulti

I giovani utenti e la resistenza al motion sickness

Una ricerca condotta dall’Università di Leida ha dimostrato che bambini e adolescenti sperimentano in misura minima gli effetti collaterali tipici della realtà virtuale, come nausea e vertigini, che invece affliggono spesso gli adulti. Lo studio, guidato da Nina Krupljanin e il suo team, ha coinvolto 85 partecipanti tra gli 8 e i 17 anni, registrando casi trascurabili di discomfort legato all’uso dei visori VR.

Questo dato è particolarmente significativo perché gli adulti tendono a soffrire di cybersickness (o motion sickness digitale) soprattutto durante esperienze che prevedono movimenti artificiali, quando cioè ciò che viene percepito visivamente non corrisponde ai segnali dell’apparato vestibolare. Al contrario, i giovani partecipanti hanno mostrato un’immediata familiarità con i dispositivi, immergendosi senza difficoltà in ambienti virtuali dallo stile cartoon e reagendo con naturalezza a stimoli come gli audio direzionali.

Krupljanin ipotizza che questa maggiore adattabilità sia legata alla digital literacy delle nuove generazioni: “Pongono meno domande e sono più inclini a esplorare attraverso tentativi ed errori. Crescere con i media digitali sembra stimolare la curiosità e ridurre la paura di sbagliare”. Un altro fattore cruciale è l’elevata motivazione riscontrata in tutti i partecipanti, elemento promettente per eventuali applicazioni terapeutiche.

Realtà virtuale come strumento contro lo shame post-traumatico

Mentre la ricerca sulla VR therapy per adulti è in espansione, gli effetti sui più giovani rimangono poco esplorati. “Prima di sviluppare interventi in VR per bambini, volevamo capire come reagiscono alla tecnologia”, spiega Krupljanin.

Il suo progetto attuale, SHINE-VR (Shame Intervention Virtual Reality), mira ad aiutare ragazzi affetti da shame legato a traumi attraverso training di self-compassion. I partecipanti accedono a un mondo virtuale in cui interagiscono con coetanei digitali, affrontando temi come emozioni difficili e esperienze condivise. “Questo approccio li fa sentire compresi e meno isolati”, aggiunge la ricercatrice.

La VR si conferma così un ambiente sicuro per sperimentare reazioni emotive intense: “Anche se razionalmente sanno di non essere in pericolo, registriamo aumenti del battito cardiaco. Questo permette di affrontare gradualmente situazioni complesse, preparandosi alla vita reale”.

A che età iniziare con la realtà virtuale?

Il dibattito sull’età minima per l’uso della VR rimane aperto, con linee guida discordanti tra i produttori. Se Meta ha abbassato il limite da 13 a 10 anni per i suoi Quest, altri brand mantengono restrizioni più severe, introducendo account differenziati per preadolescenti (10-12) e teenager (13-17) con controlli parentali.

Tuttavia, Krupljanin invita a valutare prima di tutto la maturità individuale del bambino, piuttosto che affidarsi ciecamente alle indicazioni delle aziende, spesso influenzate da logiche di mercato. Senza studi longitudinali sugli effetti a lungo termine, la prudenza resta d’obbligo.

La realtà virtuale si rivela sempre più uno strumento versatile, ma la sua adozione precoce richiede un approccio bilanciato tra opportunità e consapevolezza.

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