nDreams, publisher di alcuni dei titoli più importanti del panorama VR sia su PC che su PSVR 2, tra i quali uno dei nostri preferiti in assoluto, Synapse, è abituata a sorprendere il proprio pubblico con un gameplay VR mai scontato. Reach, presentato come il successore spirituale di Fracked: un action-adventure adrenalinico, fatto di corse, arrampicate e combattimenti cinematografici, non fa eccezione. Questa volta tuttavia non è una trovata di gameplay ma un cambio di registro che il gioco apporta dopo i primi minuti, che trasformando il suo gameplay da action/platform game, a puzzle solving ambientale, mettendo al centro dell’esperienza la manipolazione fisica degli scenari. Un cambio di tono sorprendente e, per alcuni, disorientante rispetto ai primi trailer che sicuramente farà parlare a lungo la community.

Un mondo che vive di gesti
La storia ci porta nei panni di Rosa, un agente speciale proiettato nelle rovine di una civiltà perduta dopo un evento catastrofico. A farle da guida c’è Atlas, un automa con la voce e l’autorità di un vecchio saggio. La loro relazione diventa il cuore dell’esperienza: metà alleanza, metà dialogo filosofico sulla memoria e il sacrificio. Nulla di nuovo per chi conosce la narrativa VR, ma la regia e la messa in scena sono di prim’ordine.

Molti di noi, dopo aver visto i primi trailer e ascoltato le roboanti presentazioni del marketing, si aspettavano un gioco adrenalinico, fatto di corse e combattimenti cinematografici; e Reach, in parte lo è, almeno all’inizio. Ma dopo i primi fuochi d’artificio, Reach rallenta. Ti chiede di osservare, di pensare, di comprendere lo spazio. È qui che il titolo di nDreams rivela la sua vera anima: non è tanto un platform d’azione quanto un grande puzzle fisico, dove ogni movimento ha un significato e ogni pausa racconta qualcosa.
Il ritmo e la longevità
Tuttavia, non tutto si incastra alla perfezione. Il bilanciamento tra azione e logica risulta spesso sbilanciato, al punto da confondere. Laddove il materiale promozionale prometteva inseguimenti e scontri degni di Mirror’s Edge, ci si trova davanti a lunghe sezioni di enigmi che dominano la scena.
Non è un problema di qualità — i puzzle sono intelligenti e visivamente gratificanti — ma di aspettativa: il giocatore viene spinto avanti da un ritmo altalenante, una sequenza di slanci adrenalinici seguiti da silenzi lunghissimi, come se il gioco non sapesse se voler essere un action epico o un viaggio meditativo.
Questo contrasto genera un effetto di disorientamento: chi cerca l’azione resta perplesso, chi cerca calma si ritrova improvvisamente in mezzo a un combattimento. Reach, insomma, vive in una terra di mezzo, bellissima ma un po’ incoerente.
Per l’utente che si approccia al titolo senza pregiudizi, è tuttavia una esperienza davvero unica e incredibilmente gratificante.

La campagna principale si completa in circa otto o nove ore, ma molto dipende dal ritmo del giocatore: chi si ferma a cercare collezionabili e statue nascoste può superare facilmente le dieci ore. Non ci sono modalità aggiuntive, ma la forte componente esplorativa e la necessità di padroneggiare i movimenti fisici rendono la seconda run sorprendentemente interessante. Alcune aree sbloccano scorciatoie o segreti accessibili solo dopo aver appreso certe abilità motorie, una scelta che dona alla struttura un sapore quasi metroidvania.
Nonostante il ritmo riflessivo possa far sembrare l’esperienza più lunga del dovuto, la progressione resta appagante, anche perché Reach non esagera nell’estensione: preferisce la densità alla durata.
Spettacolo visivo e qualche inciampo
Dal punto di vista tecnico, Reach è una piccola meraviglia. Le luci, i riflessi, la profondità delle caverne sotterranee lasciano senza fiato. Ed in generale si nota che l’attenzione al comparto grafico è buona. Tuttavia, in alcuni casi è evidente che lo sviluppo multipiattaforma, che come al solito ha favorito le versioni stand alone (quelle solitamente più redditizie), ha inciso anche qui sull’ambizione del team. Sebbene su PSVR2 la resa sia fluida e stabile, l’assenza dell’HDR e qualche ambientazione un po’ monotona o buggata da un texture pop in piuttosto fastidioso, testimonia che il team ha dovuto proseguire con il freno tirato.
Abbiamo avuto modo di testare il gioco anche in versione PC e, anche qui, (oltre a qualche bug in più e ad una inspiegabile assenza di compatibilità con Virtual Desktop, l’applicazione standard de facto per quanto riguarda lo streaming wireless) si avverte in maniera ancora maggiore questo freno tirato.
La componente sonora è altrettanto curata — il doppiaggio in inglese è intenso, convincente — ma non immune da bug: capitano sparizioni improvvise di effetti o musica nelle fasi più concitate.
Nulla che rovini l’esperienza complessiva, ma abbastanza da ricordarci che nDreams Elevation, pur ambiziosa, resta uno studio ancora in crescita sul fronte tecnico.

Opzioni di comfort e accessibilità
nDreams ha dedicato grande attenzione al comfort visivo e motorio. Il gioco include più modalità di rotazione (fluida, scatto o rapida), possibilità di regolare la vignettatura e un sistema di movimento “smooth-move” altamente stabile. Non è presente il teletrasporto — scelta coerente con il suo intento realistico — ma i controlli restano precisi e intuitivi anche nei tratti più dinamici.
Sono supportate sia la modalità in piedi che quella seduta, e i giocatori possono scegliere se orientare il movimento tramite testa o controller. Manca, però, un pieno supporto per i mancini e la regolazione dinamica dell’altezza, due limiti segnalati anche da parte della community. In termini di accessibilità, Reach offre sottotitoli chiari, ma niente scala di difficoltà regolabile. È un gioco pensato per un pubblico abituato alla VR, non per neofiti assoluti — sebbene la curva di apprendimento rimanga ben più dolce di quella di un Synapse o BoneLab.
Un’esperienza che divide ma lascia il segno
Reach è il tipo di produzione che fa discutere, perché osa cambiare passo più e più volte all’interno di una singola run, in un panorama VR ancora legato a formule e che invece il mondo flat ha abbandonato da tempo. Se cercate adrenalina continua, potreste restarne delusi. Se cercate un puzzle game puro, resterete disorientati. Ma se siete disposti ad abbandonarvi al ritmo a volte quieto a volte adrenalico, alla fisica poetica che lo governa, troverete un’avventura profonda, elegante e inaspettatamente intima.